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28/10/11, 00:42 | #1 |
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Il viaggio di una vita
Ciao ragazzi,
Vorrei rendervi partecipe del più bel viaggio della mia vita: 5600 km in solitaria. In due settimane sono partito da genova per vedere l'oceano. Aprile 2011. Da poco più di un anno alla guida della mia prima moto. Si vabbè, qualche giretto d'estate, ma poca roba, poche centinaia di km a cavallo delle alpi marittime o serpeggiando la riviera. Niente di che. Su internet le foto di ragazzi, ragazze, famiglie che girano il mondo in moto. Una tentazione che diventa sempre più forte, più pressante nella mia testa, fino a diventare una voglia matta di viaggiare. Si, perchè il vero viaggio è quello in moto: noi motociclisti non ci accontentiamo di vedere i posti, ma vogliamo viverli! Il profumo dei campi fioriti o di una rosticceria all'ora di pranzo; il caldo torrido della sierra nevada o il gelo pungente dei pirenei. Noi la pioggia non la vediamo attraverso un vetro e non la spazziamo via con un colpo di tergicristallo, ma la sentiamo scivolare addosso. Questione di gusti, è vero, ma viaggiare in moto è un'esperienza indiscutibilmente affascinante. Dopo settimane a studiare il tragitto ho finalmente deciso: voglio vedere l'oceano. Si, però voglio assaporare un'altra cosa rara: la libertà. Voglio essere libero a 360°. Traduzione: viaggio da solo, senza prenotare nulla, senza fissare le tappe ma solo con un'idea indicativa del tragitto da fare. Ancora una cosa: nessun navigatore satellitare. Viaggio a vista, seguo i cartelli stradali e se non capisco mi fermo e chiedo alla gente; in questo modo cerco anche di avvicinarmi un po alla cultura, ai modi di fare dei posti che attraverso. Capitolo equipaggiamento: le borse (due laterali morbide della givi) me le presta il collega, i telaietti li ho comprati, la giacca di pelle della spidi ce l'ho, compro stivali alpinestar e pantaloni spidi. Ho tutto sono pronto. Resta solo da dirlo a chi mi sta attorno...immaginavo una reazione negativa, ma non fino a questo punto!! Mia mamma: distrutta. Mio padre: capisce lo spirito e si rassegna visibilmente preoccupato. La ragazza: unico incoraggiamento, grande la mia zavorrina! Amici: bello, ma non sarà pericoloso da solo? I colleghi: "ma sei scemo" "non andare da solo" "dove ****o vai" "ma quella non è una moto per viaggiare!" ecc ecc. Bene, grazie per l'incoraggiamento. E cosi mi ritrovo sabato 9 aprile, di buon mattino, in sella alla mia moto mentre faccio quell'ultima curva che ancora mi permette di vedere casa mia, dove i miei mi salutanocome se un plotone di talebani mi aspettasse poco piu avanti. E vabbè, cuore di mamma. Descrivere il viaggio, quello che ho provato, quello che ho vissuto, non è facile a parole, ma vi assicuro che è stata un'esperienza fantastica, probabilmente anche per il fatto di essere da solo a dovermela cavare: spiegaglielo tu alla tizia dell'albergo a faro, nell'algarve, in portoghese che ho bisogno di un gommista il sabato mattina perchè c'è un chiodo di 6cm piantato nel gommone posteriore! Ma è proprio questo il bello. Affrontare le piccole difficoltà da solo, senza aiuti, ti fa sentire più uomo, più grande. Davvero. Al ritorno, oltre a vedere di nuovo mia mamma respirare (era rimasta in apnea da quando ero partito credo), ti rendi conto del bagaglio di esperienza che hai dentro di te: ti ricordi il volto del cameriere che a oviedo ti ha versato in quel modo tutto loro la sidra nel bicchiere; ti ricordi quando ha fatto tre volte lo stesso tratto di autostrada attorno a lisbona perchè non trovavi cabo de roca; ti ricordi la sabbia sollevata dal vento che ti buca la faccia mentre percorri il molo a tarifa, tra il mar mediterraneo e l'oceano atlantico; ti ricordi quanto hai maledetto il vento di carcassone in francia; le curve tra i pirenei per arrivare ad andorra, nella nebbia prima e nella pioggia poi; ti ricordi la spiritualità di fatima, di lourdes, e i pellegrini di santiago di compostela; ti ricordi la finale di coppa di spagna in quel bar di san sebastian; il buon cibo di La Coruna; le formiche nell'hotel di Murcia; l'incredibile quantità di gnocca a Malaga; quella pietra che ti ha colpito la giacca...e per fortuna non la visiera; e soprattutto ti ricordi di quel camionista francese che stava riposando tranquillo nel suo camion, mentre tu ti sfogavi su quella gomma a terra, alle sette di sera, e che è sceso e ha perso un'ora per farti ripartire, sacrificando il tubo del compressore e che continuava a ripetere in un mix di francese italiano e spagnolo: "no te preocupe, solidarieté tra motociclisti, solidarieté..." E quando te ne vai non sei più in****ato per la gomma, anzi, hai dentro il cuore una gioia indescrivibile, la gioia di chi è consapevole di appartenere a un popolo, quello dei motociclisti, che non guarda chi sei o da dove vieni, ma ti tende la mano sempre e comunque. Questo è essere motociclisti, questo è vivere.
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