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27/11/07, 19:34 | #1 |
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Vado a correre!
E' questa la frase che spesso Pimpi ottiene come risposta e che, fino a qualche mese, fa poteva essere seguita, con uguale frequenza, da un suo sbuffo o dall'esclamazione "Ancora!".
Qualche settimana fa ero dal dentista, in quella piacevole posizione coricata che richiede il trattamento di un molare. Il cruento professionista, mio caro amico dai tempi dell'Università, tra una trapanata e una fresata, mi fa "Doc, ma sei dimagrito!" e io gli faccio: "Ehhhh, cgllio a glioggllerre" (che sarebbe la frase del titolo detta con due tamponi, un aspiratore ed un trapano in bocca). E lui mi fa: "Ma perché?". Subito ho pensato che una domanda così denotava una scarsa intelligenza e mi confermava ciò che diceva un Professore del I anno di Medicina: "Se mettete un sasso su un banco di quest'aula, tre 6 anni sarà dottore", insomma 'sta laurea la danno anche ai somari! Cacchio, mi dicevo, ma come fai a chiedere a uno che corre "Perché corri?". Per me la risposta era così palese che credevo dovesse essere evidente a tutti. In realtà non è così. In fondo tutti accettiamo che la stessa domanda sia assurda se fatta ad un calciatore. Al quesito "Perché giochi a calcio" la risposta è nota, scontata, praticamente universale: "Per farmi una velina!". Ma tu, podista amatore, che partecipi alle corse dove il primo classificato conclude la gara in metà del tuo tempo, corre una maratona ad una velocità alla quale tu non correresti nemmeno i mille metri, e spesso vince un salame ed una bottiglia di vino... ma tu, perché corri? Diciamocelo, non lo faccio per la salute. Da quando mi alleno ho perso cinque chili di muscoli nella parte superiore del corpo, gli zigomi si sono accentuati e lo sforzo spesso residua in profonde occhiaie verdastre su uno sfondo di pelle pallida e screpolata... spesso chi mi incontra mi dice, con tono sibillino: "Tu non stai bene!". All'inizio cercavo di spiegare che era la corsa, ma la gente non mi credeva. Ultimamente ho provato con la risposta "Mi drogo" e vedo che la cosa è accettata con meno sorpresa. E non lo faccio perché mi piace tornare dal lavoro, dribblare il divano con le sue insidie, rinunciare alla fetta di torta in frigo, mettermi la tutina fetish ed uscire sotto la pioggia e contro la bora a 120 chilometri all'ora per fare 20.000 gelidi metri. Preferirei piuttosto cambiarmi ed andare a bere due Negroni da Circus e tornare a casa con le molle nelle gambe e le farfalle nella testa... come tutti. E non lo faccio perché, dopo i primi dieci minuti di sofferenza, cominci a scaldarti, le gambe girano, il fiato si placa, il cuore accompagna il tuo passo e pensi a quanto è bella la vita... col ****o. Se vuoi migliorare devi fare fatica, ogni volta. Dopo dieci minuti smetti di maledire il vento che, per un paradosso fisico, è sempre contrario, sia all'andata che al ritorno. Smetti di chiederti perché piove sempre il martedì, giovedì, sabato, domenica, giorni in cui ti alleni. Smetti perché tanto i 20 chilometri sono duri d'inverno perché fa freddo, d'estate perché c'é caldo, in autunno perché nascosta sotto le foglie secche sai già che c'é una bella ***** di cane che pesterai e porterai fino a casa, in primavera perché a Barcola incroci duemilioni di donne che ti distraggono e ti fanno perdere il ritmo. E non lo faccio perché i miei amici vanno più forte di me e allora devo cercare di raggiungerli nella preparazione. Che tanto tra un mese, quando io sarò come loro adesso, loro saranno ancora avanti di un mese. E non lo faccio per sfogarmi, che tanto il lavoro non mi stressa, ho una donna bellissima con cui vado d'amore e d'accordo e se dovessi sfogarmi per qualcosa aprirei un Fight Club. E non lo faccio per raccontarlo agli amici, che tanto cosa racconto: "Sai ero al 14° chilometro quando mi è venuta una nausea pazzesca, quello davanti si è scaccolato il naso e mi è arrivato il cappero sulla scarpa. Poi al ristoro l'acqua era davvero freddissima, marmata. All'arrivo ho finito in spinta, sono arrivato 566°!". Ho già provato a raccontare quello che mi succede in corsa, ma le sensazioni, se le racconti, sbiadiscono. Gli amici più empatici ti fanno: "Ah sì? Ma senti, quand'è che fa l'addio al celibato Paolo?" Lo faccio perché mi viene spontaneo. Quando corro non sono obbligato ad essere ciò che ci si aspetta che io sia. Sorridente e paziente col malato, colto e preparato col primario, accomodante con i colleghi più anziani, rispettoso dell'autorità, affabulatore con gli ospiti, compagnone con gli amici. Quando corro metto a nudo ciò che sono. Niente storie, favole, balle. Solo gambe, polmoni, cuore, cervello, nell'ordine, a cedere. Nulla di regalato. Niente nepotismo. Chi va forte, va, gli scarsi restano indietro. Meritocrazia. Niente scorciatoie. Sei solo con te stesso, col tuo mal di gambe, col tuo fiato corto, a volte col sangue di naso, poche volte con i crampi, pochissime con la testa che gira. Ne ho conosciuti tanti fuoriclasse, a parole. Quelli che, senza allenarsi, ti danno un quarto d'ora di distacco, a parole. Poi li trovi in gara e c'hanno sempre qualcosa che non va: "Oggi non è giornata!". Lo faccio perché, correndoci, faccio mio il posto in cui mi trovo. Ho corso all'Università di Triana, al Tiergarten di Berlino nella neve, a Sharm el Sheik, lungo il Tirreno in Sardegna, in Austria lungo il lago di Velden, sulle montagne della Liguria, nelle piste da fondo in Val Pusteria. Dovunque sono a casa mia, dopo che ci ho corso. Domani parto per San Sebastian, Paesi Baschi, le scarpette sono già in valigia. Tra mezz’ora smonto dal lavoro, Pimpi è a cena da un’amica… mi sa che… vado a correre. Volevo farvi parte della mia emozione nel fare ciò che mi da gioia. Buona serata. Stefano Topic spostato da iraton: tutto questo e lo posti nel Bar? z Ora è in "Oltre la moto, passioni & culture giù dalla sella" |
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